Dopo anni di studi, è stato finalmente svelato il segreto che ha permesso a ponti, strutture e acquedotti romani di sopravvivere nel tempo per oltre 2000 anni.

La scoperta del successo di queste costruzioni è la formula alla base del calcestruzzo utilizzato in quegli anni: nella miscela troviamo infatti la calce viva, che permette al cemento di auto-ripararsi e ridurre le emissioni di CO2.

DURABILITÀ NEL TEMPO

Prendiamo come esempio una delle strutture più famose della città eterna: la cupola del Pantheon rappresenta la più larga emisferica mai costruita in calcestruzzo che ancora oggi è in ottime condizioni.

Ma come ha fatto a sopravvivere per tutto questo tempo?

I pezzi bianchi nel cemento definiti clasti di calce, permettevano al cemento di guarire le crepe formatesi nel tempo, letteralmente auto-riparandosi.

È proprio questo l’ingrediente misterioso che ha consentito ai romani di rendere il loro materiale durevole nei secoli e, soprattutto, di dar vita a strutture elaborate in luoghi difficili come fogne, moli e zone sismiche.

COMPOSIZIONE DEL CALCESTRUZZO ROMANO

Gli antichi romani utilizzavano un procedimento chiamato hot mixing che consiste nell’aggiungere alla miscela di calcestruzzo anche la calce viva che, reagendo con l’acqua, riscalda la miscela. Questo passaggio porta alla formazione di “granelli” di calce che permettono l’autoriparazione.

La formula della miscela, se utilizzata anche ai nostri giorni, potrebbe aiutare a ridurre l’impatto ambientale della produzione di cemento, che attualmente rappresenta circa l’8% delle emissioni globali di gas serra.

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